Vitigni Sardi, l’anima vinicola di un’Isola

I Vitigni Sardi sono una delle espressioni più autentiche della cultura ricca e variegata della Sardegna. Si tratta di vitigni autoctoni, l’anima di un’isola che ha saputo valorizzare la sua biodiversità e la sua tradizione enologica, offrendo al mondo vini di qualità e personalità. Ecco quali sono i vini tipici sardi che non puoi proprio non degustare, sia bianchi che rossi. Qual è il vitigno più coltivato in Sardegna? Il vitigno più coltivato in Sardegna è il Cannonau, infatti pensa che rappresenta circa il 30% della superficie coltivata a vite dell’isola! Si tratta di un vitigno a bacca rossa, originario della Spagna, dove è noto come Garnacha. Si è diffuso sull’isola grazie ai commerci marittimi tra le due nazioni e ha trovato nel territorio sardo le condizioni ideali per esprimersi al meglio. Dà vita a vini rossi corposi e alcolici, con profumi di frutti rossi, spezie e macchia mediterranea. Quali sono i vini tipici sardi? Oltre al Cannonau, la Sardegna produce altri vini tipici che riflettono la varietà dei suoi vitigni e delle sue zone di produzione. Tra i vini tipici sardi bianchi e rossi possiamo citare: Vermentino di Sardegna DOC: è un vino bianco ottenuto dal vitigno Vermentino, originario della Francia, dove è noto come Rolle. Ha un colore giallo paglierino con riflessi verdognoli e un profumo intenso e floreale, con note di erbe aromatiche, agrumi e frutta esotica. Al palato è fresco, sapido e persistente; Carignano del Sulcis DOC: è un vino rosso ottenuto dal vitigno Carignano, originario della Spagna, dove è noto come Cariñena. Si coltiva nella zona sud-occidentale dell’isola, dove resiste ai venti marini e alla siccità. Ha un colore rosso rubino intenso e un profumo fruttato e speziato, con note di ciliegia, mora, pepe e liquirizia. Al palato è secco, caldo, tannico e persistente; Vernaccia di Oristano DOC: è un vino bianco ottenuto dal vitigno Vernaccia, originario della Grecia. Si produce nella zona centrale dell’isola, dove subisce un processo di ossidazione in botti di legno che gli conferisce un colore ambrato e un profumo intenso e complesso, con note di mandorla, miele, caramello e spezie. Al palato è secco, caldo, sapido e armonico. Quali sono i principali vitigni a bacca rossa in Sardegna? Oltre ai già citati Cannonau e Carignano, ci sono altri vitigni sardi a bacca rossa che danno origine a vini interessanti e caratteristici. Tra questi ti indichiamo: Bovale: si tratta di due varietà distinte, il Bovale Sardo e il Bovale di Spagna, entrambe originarie della Spagna. Entrambi danno vita a vini rossi dal colore rosso rubino carico e dal profumo fruttato e vegetale, con note di mirto, ribes e peonia. Al palato sono secchi, freschi, tannici e piacevolmente amarognoli. Si abbinano bene con i piatti a base di agnello o di maiale; Monica: è un vitigno autoctono della Sardegna, che si coltiva soprattutto nella zona meridionale dell’isola. Dà vita a vini rossi dal colore rosso rubino chiaro e dal profumo delicato e fruttato, con note di ciliegia, lampone e viola. Al palato sono secchi, morbidi, leggeri e armonici. Si abbinano bene con i primi piatti a base di sughi di carne o di verdure; Cagnulari: è un vitigno autoctono della Sardegna, che si coltiva nella zona nord-occidentale dell’isola, in particolare nel territorio di Usini. Dà vita a vini rossi dal colore rosso rubino intenso e dal profumo intenso e speziato, con note di prugna, mora, pepe e vaniglia. Al palato sono secchi, caldi, tannici e persistenti. Si abbinano bene con i piatti a base di selvaggina o di funghi. I vitigni sardi non solo possono deliziare il tuo palato ma sono una risorsa da valorizzare e da proteggere, per conservare la biodiversità e l’identità di un’isola che ha davvero tanto da offrire.    

Coppiette Romane: storia, gusto e tradizione

Le *Coppiette Romane* sono uno dei prodotti più tipici e apprezzati della tradizione gastronomica laziale, con radici che affondano nella storia contadina e pastorale del centro Italia. Originarie delle zone rurali della campagna romana, le coppiette nascono come strisce di carne essiccata e speziata, preparate per essere un alimento conservabile e adatto ai lunghi viaggi dei pastori o alle giornate di lavoro nei campi. Il nome “coppiette” deriva dall’usanza di vendere queste strisce di carne in coppia, unite tra loro, come simbolo di convivialità e condivisione, perfette per accompagnare una bevuta tra amici in osteria. Il gusto delle coppiette romane è deciso e caratteristico, grazie all’utilizzo di carni scelte, solitamente suino ma anche equino o bovino, trattate con un mix di spezie come peperoncino, finocchietto e aglio, che conferisce loro una nota piccante e aromatica. Questa tradizione di essiccazione e speziatura risale agli antichi romani, che svilupparono tecniche di conservazione della carne attraverso il sale e l’aria per far fronte all’assenza di refrigerazione. Oggi, le coppiette sono diventate uno stuzzichino molto apprezzato nei bar e nelle trattorie di Roma e del Lazio, dove sono servite come antipasto o come accompagnamento per vini e birre artigianali. La loro preparazione è un vero e proprio rituale, tramandato da generazioni e arricchito con varianti locali che rendono ogni assaggio unico. Le coppiette rappresentano non solo un simbolo della tradizione culinaria romana, ma anche un legame autentico con la cultura e la storia del Lazio, portando con sé i sapori e i profumi di una terra ricca di storia e di gusto. Le Coppiette Romane: Gusto, Storia e Tradizione Le Coppiette Romane rappresentano una delle specialità gastronomiche più emblematiche della tradizione laziale e romana. Note per il loro sapore intenso e piccante, sono strisce di carne essiccata, tipicamente consumate come snack o antipasto, spesso accompagnate da un bicchiere di vino rosso. Diffuse in particolar modo nella zona dei Castelli Romani, queste prelibatezze continuano a conquistare il palato di chiunque sia alla ricerca di un’esperienza culinaria autentica e radicata nella storia. Origini e Storia delle Coppiette Romane Le origini delle coppiette risalgono a tempi antichi, quando la carne doveva essere conservata per lunghi periodi a causa della mancanza di metodi di refrigerazione. Nel Lazio, i pastori e i contadini svilupparono l’usanza di tagliare la carne in strisce sottili, insaporirla con sale e spezie per poi essiccarla all’aria aperta. La carne di maiale, bovino e, talvolta, cavallo, si prestava particolarmente a questo processo di conservazione. Il nome “coppiette” deriva dal fatto che le strisce di carne venivano servite a coppie, permettendo così una condivisione conviviale, spesso in osterie o nelle sagre di paese. Che Carne è Quella delle Coppiette? La carne utilizzata per le coppiette romane può essere di diversi tipi, come maiale, bovino e cavallo, con preferenza per le parti più magre come la coscia o il lombo. La carne viene selezionata accuratamente per assicurare una consistenza dura e tenace, ideale per essere essiccata senza perdere troppo peso. Le coppiette di Ariccia, un famoso paese dei Castelli Romani, sono particolarmente rinomate e vengono ricavate da tagli pregiati di suino come l’arista e il filetto, che conferiscono alle strisce di carne un colore rosso scuro e un sapore piccante. Ricetta delle Coppiette Romane Preparare le coppiette romane è un processo che richiede attenzione e cura. Ecco una ricetta base: Selezione della Carne: Scegliere parti magre di maiale, cavallo o bovino. Taglio: La carne viene tagliata in strisce sottili e lunghe, tipicamente di 30 cm. Aromatizzazione: Le strisce vengono poi cosparse di sale e spezie come peperoncino, finocchietto e aglio. Per una variante aromatica, alcuni produttori scelgono di immergere la carne in vino bianco o spumante prima di procedere con l’essiccatura. Questa fase, oltre a insaporire ulteriormente le coppiette, può contribuire ad ammorbidirle leggermente, rendendo più facile la masticazione. Essiccazione: Dopo l’aromatizzazione, la carne viene essiccata all’aria per diverse settimane, permettendo alle spezie di penetrare e sviluppare il gusto caratteristico delle coppiette romane. Coppiette Romane di Cavallo Le coppiette di cavallo sono una variante storica, meno comune oggi ma molto diffusa in passato. La carne di cavallo, essendo ricca di ferro e dal sapore intenso, aggiunge una nota particolarmente robusta al prodotto. La lavorazione di questa carne prevede lo stesso procedimento, con una marinatura che contribuisce a esaltare i sapori naturali. Coppiette Romane al Kg: Prezzi e Consumo Le coppiette romane vengono spesso vendute al chilo, con prezzi che variano in base alla qualità della carne e alla complessità del processo di essiccazione. Data la natura artigianale della maggior parte delle coppiette, i prezzi possono essere piuttosto elevati, ma giustificati dalla lunga lavorazione e dalla qualità degli ingredienti. Al chilo, le coppiette possono costare tra i 20 e i 40 euro, con variazioni anche in base alla stagionalità e alla disponibilità. Coppiette Romane: Calorie e Valori Nutrizionali Dal punto di vista nutrizionale, le coppiette sono un alimento ad alto contenuto proteico e calorico. Con una densità energetica di circa 300-350 kcal per 100 grammi, sono ricche di proteine, fornite in media tra i 30 e i 35 grammi per 100 grammi di prodotto, il che le rende un alimento particolarmente apprezzato dagli sportivi e dagli amanti delle diete ad alto contenuto proteico. Tuttavia, a causa del processo di salatura e aromatizzazione, le coppiette contengono anche una quantità significativa di sodio e grassi, che le rende uno snack da gustare con moderazione. Come Mangiare le Coppiette Romane? Mangiare le coppiette romane è un’esperienza unica. Vanno consumate rigorosamente in coppia, strappate a morsi, e accompagnate da un bicchiere di vino rosso corposo, come un Sangiovese o un Cesanese del Piglio, ideali per bilanciare il gusto piccante delle spezie. Le coppiette sono spesso servite con crostini caserecci, che ne esaltano il sapore e contribuiscono a un’esperienza culinaria completa. Sebbene siano un piatto povero e popolare, le coppiette sono difficili da trovare nei ristoranti, mentre sono molto comuni nelle osterie e nelle sagre di paese. Le Coppiette di Ariccia Le coppiette di Ariccia sono tra le più apprezzate e rinomate, … Leggi tutto

Pinta di Birra, ci facciamo una bella bevuta?

Benvenuti in un’avventura alla scoperta di due parole che camminano insieme attraverso la storia, portatrici di tradizione e piacere: la “Pinta” e la “Birra”. Questi due termini, che si fondono nel mondo della birra con un’armonia senza tempo, non sono solo contenitori di una bevanda, ma portatori di significati che vanno al di là delle misurazioni. La “Pinta” è un’unità di misura che affonda le radici nei secoli di convivialità e celebrazione. Nel contesto birraio, diventa l’icona di momenti condivisi, di incontri tra amici e di celebrazione di sapori artigianali. In questo articolo, esploreremo la storia e il significato della “Pinta di Birra”, superando la sua dimensione quantitativa per abbracciare l’essenza di un’icona culturale. Vedremo come la birra, versata con generosità nella sua pinta, diventi un simbolo di tradizione, di artigianalità e di connessione sociale. Siete pronti per immergervi nella ricchezza di un linguaggio che abbraccia l’anima conviviale della “Pinta di Birra”? Il termine “Pinta di Birra” affonda le radici nell’antica unità di misura per liquidi, utilizzata in Italia, Francia e altri paesi prima dell’adozione del sistema metrico. In Italia, il suo valore variava a seconda della città: a Milano era di 1,57 litri, a Genova 1,76 litri, a Modena 2,26 litri. In Francia, la “pinte” era di 0,9313 litri nel commercio all’ingrosso. Nel Regno Unito, la “pint” è ancora in uso e corrisponde a 568 ml, mentre negli Stati Uniti esistono due tipi di pinte, da 551 e 473 ml rispettivamente, per liquidi e aridi. Nel contesto birrario, la “Pinta di Birra” non è solo una quantità specifica, ma un simbolo di convivialità e tradizione. Versare una pinta di birra diventa un gesto che unisce, celebrando la ricchezza della cultura birraria e la socialità intrinseca al consumo di questa bevanda. Quando solleviamo una “Pinta di Birra”, non stiamo solo godendo di una birra, ma partecipando a una lunga storia di condivisione e di festa. E ora, passiamo alla parte pratica: quanti bicchieri sono una pinta? Considerando un bicchiere medio di 25 cl, calcoliamo che servire una pinta richiederebbe circa 2,28 bicchieri. Approssimando, possiamo dire che sono necessari almeno 3 bicchieri da 25 cl per raggiungere la capienza di una pinta standard di 57 cl. Ma la pinta di birra irlandese, nel Regno Unito, in Irlanda e nei paesi del Commonwealth, ha un valore di 0,56826125 litri o 568 ml. E la pinta americana misura 473 ml, che corrispondono a circa l’83% della pinta imperiale.

Oktoberfest a Monaco: Un’esperienza da vivere

L’Oktoberfest, noto anche come “Festa d’ottobre” in bavarese o semplicemente “Wiesn” (che significa “il prato” nel dialetto bavarese), è un rinomato festival popolare tenutosi annualmente a Monaco di Baviera, in Germania, dal penultimo fine settimana di settembre al primo fine settimana di ottobre. Questo evento è celebre in tutto il mondo ed è la fiera più imponente a livello globale, attrarre in media sei milioni di visitatori ogni anno (raggiungendo quasi sette milioni nel 2011) e portando al consumo di ben 7,5 milioni di boccali di birra. Numerose città in tutto il mondo si ispirano a questa celebre festa e organizzano manifestazioni simili, anch’esse chiamate Oktoberfest. La celebrazione dell’Oktoberfest si estende per un periodo di 16 giorni in una vasta area conosciuta come Theresienwiese, o semplicemente “Wiesn”. La festa solitamente termina nella prima domenica di ottobre, ma a partire dal 1994 può essere prolungata fino a 17 o 18 giorni se la prima domenica di ottobre cade l’1 o il 2 del mese. In questo caso particolare, l’evento si estende fino al 3 ottobre, concomitante alla celebrazione della Festa della Riunificazione tedesca. Nel vasto terreno di Theresienwiese, che si estende su 42 ettari (equivalenti a 0,42 km2), viene creato un ampio parco divertimenti e vengono erette le strutture chiamate “Festzelte”, dove vengono servite le sei rinomate birre di Monaco di Baviera (Paulaner, Spaten, Hofbräu, Hacker-Pschorr, Augustiner e Löwenbräu), autorizzate appositamente per l’evento. Ogni uno dei 14 grandi stand può ospitare da 5.000 a 10.000 persone e offre spettacoli musicali nel tipico stile schlager su un palco centrale. La festa inizia con la celebrazione della prima spillatura del barile, trasmessa in diretta televisiva in tutto il mondo, seguita dalla consueta processione tradizionale. Durante l’Oktoberfest, le sei birrerie autorizzate a distribuire le proprie birre riforniscono i “tendoni della birra”, chiamati anche “Bierzelte”, con una varietà speciale di birra denominata “märzen”, riconoscibile per il suo sapore più ricco e un tenore alcolico più elevato rispetto alla birra tradizionale. La birra dell’Oktoberfest, con la sua storia di produzione particolare destinata all’evento di Monaco, si è affermata come un simbolo amato in Germania e in tutto il globo. La sua fama è intimamente connessa alla città di Monaco e al suo stile di vita, tanto da essere considerata un autentico rappresentante della città. Secondo un registro storico del XIX secolo, si stabiliva durante l’Oktoberfest che fosse consentito servire esclusivamente birra prodotta nelle vicinanze, in conformità con un decreto emesso dalle autorità locali di Monaco. In quel periodo storico, quattro gestori di locande delle aree limitrofe vennero vietati di offrire la loro birra, proveniente da una località distante circa 45 chilometri da Monaco, durante il periodo festivo. Le grandi strutture conosciute come “tendoni della birra” possono accogliere un numero variabile di persone, da 3.000 a 10.000, e richiedono un periodo di preparazione di circa due mesi. Un momento di particolare rilievo durante l’Oktoberfest è rappresentato dall’apertura ufficiale alle 12:00, quando il sindaco di Monaco, dopo 12 colpi di cannone, versa la prima birra nel padiglione Schottenhamel. Per compiere questo gesto, infila con decisione il rubinetto nella botte inaugurale e pronuncia le celebri parole “O’zapft is! Auf eine friedliche Wiesn!” in dialetto bavarese e tedesco, che possono essere tradotte come “È stappata! Che sia una festa pacifica!”. Questo gesto ufficializza l’inizio delle celebrazioni, e il sindaco riempie il primo boccale di birra, che successivamente viene offerto al Presidente del Länd della Baviera. I partecipanti all’Oktoberfest hanno l’opportunità di gustare una varietà ampia di piatti, che includono salsicce, pollo arrosto (Hendl), crauti (Sauerkraut) e specialità tipiche della cucina bavarese, come lo stinco di maiale. Dove e come si è svolto il primo Oktoberfest? Nel corso delle festività legate al matrimonio del principe ereditario Ludwig e della principessa Therese, celebrato il 12 ottobre 1810 a Monaco, si svolsero numerose celebrazioni sia private che pubbliche. L’Oktoberfest ebbe inizio durante l’ultima di queste celebrazioni, precisamente durante la corsa dei cavalli che ebbe luogo il 17 ottobre, un’iniziativa ideata da Andrea Michele Dall’Armi. Questa corsa divenne presto un evento annuale di grande popolarità. La selezione del luogo per questo evento, fuori dal centro cittadino, fu basata sulle sue peculiarità ambientali. La Sendlinger Berg (monte di Sendling), ora conosciuta come Theresienhöhe (altura di Teresa), venne adibita a tribuna per accogliere i 40.000 spettatori presenti durante la corsa. Tra le delizie culinarie offerte ai partecipanti erano inclusi sia vino che birra. Prima dell’avvio della corsa, ebbe luogo una cerimonia commemorativa dedicata agli sposi e alla famiglia reale, che consisteva in un modesto corteo composto da 16 coppie di bambini, ognuna vestita con costumi tradizionali che rappresentavano i Wittelsbach, i nove distretti della Baviera e altre regioni. In seguito, si esibì un coro prima di concludere l’evento con la corsa di 30 cavalli su una pista lunga 3.270 metri. La medaglia d’oro fu consegnata al primo cavallo che attraversò il traguardo, presentata personalmente dal Ministro Maximilian conte di Montgelas. Evoluzione Dell’Oktoberfest negli ultimi tre secoli L’Oktoberfest ha subito un’evoluzione significativa nel corso degli ultimi tre secoli: XIX secolo: Nel 1813, a causa delle guerre napoleoniche, non si tenne il festival, ma negli anni successivi conobbe una crescita costante. Le prime edizioni comprendevano gare di cavalli, alberi da scalata, piste da bowling e altalene. Nel 1818, fu installata la prima giostra e furono organizzate lotterie di beneficenza per sostenere i cittadini poveri. Nel 1819, i consiglieri municipali di Monaco presero in carico la gestione dell’Oktoberfest, stabilendo la celebrazione annuale dell’evento. A partire dal 1850, la “Statua della Baviera” fu collocata nell’area della festa, e nel 1853 fu completata la Ruhmeshalle (una sorta di pantheon). Tuttavia, alcune edizioni furono annullate a causa di epidemie di colera (nel 1854 e nel 1873) e guerre (nel 1866 e nel 1870). Verso la fine del XIX secolo, la durata del festival si allungò, con l’inizio anticipato a fine settembre. Dal 1880, la vendita di birra fu autorizzata e nel 1881 fu inaugurata la prima rosticceria. L’illuminazione elettrica venne introdotta, con oltre 400 bancarelle e stand. Le birrerie costruirono grandi … Leggi tutto

Indian Pale Ale, Tradizione E Cenni Storici

La birra Indian Pale Ale anche detta in acronimo IPA è una birra ad alta fermentazione, Ale appunto, che viene prodotta con Malto Chiaro(Pale) con grossa presenza di luppoli. Ale sta a dire ad alta fermentazione dunque. Durante le fasi di produzione, c’è il momento in cui viene aggiunto il lievito, che fa sì che la birra diventi alcolica, questo determina la differenza tra Lager ad esempio ed Ale, Bassa e Alta fermentazione. Il termine Pale invece indica il tipo di Malto, in questo caso chiaro e poco tostato. Il malto meno tostato solitamente determina una birra dal colore molto chiaro. Più il malto è tostato più la birra cambia colore ed ha un sapore più intenso e più persistente. Le Indian Pale Ale sono notoriamente originarie del Regno Unito e vengono prodotte con luppolo del luogo. Nel tempo dalle IPA si è passati dall’importazione da parte degli USA a produzione di Pale Ale diretta negli Stati Uniti, e quindi si è arrivati alla produzione di APA, American Pale Ale che si differenzia dalla IPA proprio per i luoghi di produzione, nonché di scelta di luppoli coltivati direttamente negli USA. Questo processo produttivo effettuato negli Stati Uniti differenzia molto le APA dalle IPA e anche dalle American IPA, perché il malto ed il luppolo vengono dosati in modo diverso. Cenni storici sulla Indian Pale Ale L’India è stata una colonia inglese per molto, fino ad una completa decolonializzazione avvenuta, di fatto, soltanto nel 1947. Alla fine del Diciottesimo Secolo e gli inglesi presenti in India avevano una grande nostalgia della birra. Per questo la George Hodgson’s Bow Brewery, piccola birreria con sede sui Docks di Londra, iniziò a produrre una ale più alcolica e più luppolata, che aveva una maggiore resistenza durante i viaggi lunghi: si tratta del primo prototipo di birra Indian Pale Ale. Nel tempo le IPA sono state rielaborate e reinterpretate a seconda della provenienza dei luppoli e dei processi produttivi della birra nello specifico: Si parla quindi di American Pale Ale, a IPA Americana, a Scottish Pale Ale a IPA Italiana. Come abbinamento organolettico le IPA vanno abbinate a gusti non particolarmente piccanti, avendo di fatto un sapore fortemente amarognolo. Quindi per chi ama l’abbinato pizza birra, gli ingredienti che decidi di scegliere nella pizza determinano la scelta della birra da abbinare. In questo caso una pizza dal gusto delicato si accompagna molto bene con una Indian Pale Ale, dal caratteristico gusto amaro acuto. Saper scegliere una IPA con cura non è un compito facile, per questo tantissime sono le possibilità di scelta offerte da molti e-commerce di birra online. Scegli le birre Indian Pale Ale, consultando le sezioni specifiche di 1001Birre ad esempio, ma anche di altri ecommerce della birra come beermania oppure bevandeadomicilio.com E tu, ami la Indian Pale Ale od hai un’altra tipologia di birra preferita?

Birra Kolsch: Stile Di Una Birra Tedesca Ad Alta Fermentazione

Originaria della Colonia, la birra Kolsch si presenta ambrata, con una gradazione alcolica media (4.4% – 5.2%) ed un sapore deliziosamente fruttato. Pur essendo una birra molto semplice nel gusto e nell’aspetto, la birra Kolsch risulta ben difficile da replicare. Questo soprattutto perché, nonostante gli ingredienti siano standard, il risultato restituisce una birra secca e molto beverina. Il difficile, infatti, sta proprio nel non cadere nella produzione di aromi indesiderati. La caratteristica principale di questa birra è la sua alta fermentazione. Le birre ad alta fermentazione sono ottenute mediante l’utilizzo di lieviti Saccharomyces cerevisiae. La temperatura di fermentazione si trova tra i 12 e i 23 gradi (nel caso della birra Kolsch la fermentazione è ideale a 13 gradi) e, una volta che i lieviti si saranno esauriti, saliranno verso la parte alta del fermentatore. Una birra ottenuta mediante l’alta fermentazione ha la caratteristica di restituire all’olfatto e in parte anche al gusto la percezione di aromi fruttati quali banana, albicocca, pesca e altri, proprio come la Kolsch. Il suo sapore fruttato è per l’appunto indice della sua alta fermentazione. Gli ingredienti principali di questa birra sono l’acqua, i lieviti responsabili dell’alta fermentazione, il luppolo e il malto d’orzo. La birra Kolsch si presenta perfetta se servita con antipasti, primi piatti e carni bianche. La temperatura ideale a cui andrebbe servita si aggira intorno ai 6 – 9 gradi. Birra Kolsch: una birra prettamente femminile Proprio grazie al suo sapore delicato e alla sua gradazione alcolica non troppo aggressiva, la birra Kolsch si presenta molto più amata dalle donne rispetto che dagli uomini. In Colonia, il 75% delle donne dice di essere consumatrice regolare, mentre il 20% ne è addirittura consumatrice quotidiana. Kolsch-style Data la sua semplicità e al tempo stesso complessità nella replicazione, ogni industria di birra di Colonia ha una propria versione della Kolsch. Si tratta di un vero e proprio “Kolsch-style” che esce anche al di fuori della Germania, finendo negli Stati Uniti e anche in Giappone. Se invece andiamo alla ricerca di una versione più “grezza” della birra Kolsch incontriamo la Weiss, la sua versione torbida e non filtrata. La versione “all grain” Nel linguaggio comune ai veri appassionati di birra, si tratta di un metodo di produzione prettamente domestico. Un modo originale di dire “fai da te”. La birra Kolsch all grain, difatti, prevede l’utilizzo dei grani di malto al posto del classico barattolo di estratto concentrato. Ma come si produce? Per una produzione totale di 23 litri di birra Kolsch, al posto dell’utilizzo di 2kg di estratto in polvere light e 1kg di estratto in polvere Wheat, si consiglia di utilizzare 4 kg di malto Pilsner e 0,5 kg di malto Wheat.

Birra Hoegaarden: La Regina Delle Bianche

La birra Hoegaarden è universalmente riconosciuta come la regina delle birre bianche (blanche/wit), un termine che si adatta perfettamente a questa bevanda, grazie alla sua straordinaria chiarezza. Questa birra è prodotta nel cuore delle Fiandre, presso il birrificio Hoegaarden, fondato nel 1966 da Pierre Celis. Egli, partendo da una ricetta tradizionale, rianimò la produzione di birre bianche nella regione. Queste birre sono conosciute anche come witbier e hanno radici storiche profonde. L’elemento distintivo di Hoegaarden è la sua schiuma bianca, soffice, durevole e profumata di scorza d’arancia. La birra ha un sapore fresco e leggermente acidulo derivante dal frumento belga non maltato, con un sottofondo di miele e lievito. Il retrogusto è leggero ma persistente, con chiare note di succo di limone. Nel passato, il birrificio di Hoegaarden era un luogo in cui i monaci producevano birre con aggiunta di spezie esotiche importate dai navigatori olandesi. Il curacao e il coriandolo venivano utilizzati per addolcire il carattere aspro delle birre dei monaci. Nel diciottesimo secolo, la zona vantava ben 36 birrifici e la bière blanche era molto popolare. Tuttavia, l’avvento delle birre di tipo lager portò alla scomparsa delle birre bianche, e l’ultimo birrificio chiuse nel 1957. Pierre Celis e i suoi compaesani resuscitarono queste antiche ricette, portando alla rinascita delle birre bianche. Tuttavia, un incendio nel 1985 distrusse l’impianto di Hoegaarden. Grazie al sostegno economico di Inbev, il marchio fu rilevato e il birrificio ritornò alla sua gloria. Oggi, Hoegaarden è noto per produrre birre di frumento non maltato, compresa la celebre Hoegaarden Blanche. La gamma di birre Hoegaarden include diverse varietà, tra cui la Hoegaarden Grand Cru, una strong ale con un tasso alcolico dell’8,6% vol., e la Hoegaarden Speciale, una versione più invernale, ambrata, corposa e ricca di gusto, con un tasso alcolico del 5,7% vol. Inoltre, Hoegaarden offre una varietà chiamata Hoegaarden Rosèe, caratterizzata da un colore arancione-rosato, una schiuma bianca fine, l’aggiunta di succo di lampone per un profumo speziato e fruttato, e un sapore dolce e rinfrescante. Questa birra ha una gradazione alcolica del 3% vol. In breve, Hoegaarden è rinomata per la sua gamma diversificata di birre, che attira sia il grande pubblico che gli intenditori del settore.

Bloemenbier La Birra Dei Fiori

Bloemenbier è una birra belga bionda unica, aromatizzata con fiori. Questa birra è prodotta con cura dalla brasserie De Proefbrouwerij, situata nel pittoresco villaggio fiammingo di Lochristi, noto per le sue coltivazioni floreali. Il termine “Bloemen” in fiammingo significa “fiori”, il che è una testimonianza dell’ispirazione floreale che guida questa birra. Il birrificio De Proef è conosciuto per la sua dedizione alla produzione di birre speciali su commissione. Sono esperti nell’elaborazione di ricette personalizzate fornite dai clienti, contribuendo a creare nuovi sapori o perfezionando quelli esistenti. Questo birrificio ha un reparto di ricerca e sviluppo che lavora costantemente per migliorare la qualità delle birre. L’azienda pone grande enfasi sull’integrità e sul rispetto, tanto per i collaboratori quanto per l’ambiente. Bloemenbier è una Strong Ale belga ad alta fermentazione con un colore dorato quasi ambrato e un contenuto alcolico del 7,0%. La birra vanta una schiuma abbondante e corposa, sebbene tenda a dissolversi rapidamente una volta versata. Caratterizzata da un aroma dolce e floreale, questo profilo olfattivo si riflette anche nel suo gusto. Ciò che rende questa birra speciale è il suo processo di brassatura unico, in cui vengono utilizzati due tipi segreti di fiori tipici di Lochristi. Questi fiori apportano una dolcezza distintiva alla birra e regalano al naso note di caramello, malto, miele d’acacia e fiori primaverili. Al palato, emergono sfumature fruttate che conferiscono a questa birra una dolcezza vellutata con un sottile retrogusto amaro. In generale, Bloemenbier è una birra delicata e fragrante, che ricorda la primavera sia nel profumo che nel sapore. Le note floreali, fruttate e dolci la rendono una birra ideale per gli amanti delle birre speciali e aromatiche. Questo birrificio si è impegnato a confezionare e presentare la birra in modo da preservarne la qualità. Le bottiglie vengono avvolte in un involucro protettivo che protegge la birra dalla luce diretta, evitando che l’esposizione ai raggi solari alteri il suo sapore. Bloemenbier è spesso servita dopo aver rimosso questo involucro vicino al tappo, per garantire una degustazione ottimale.

Birre Norvegesi: Guida Completa

La Norvegia ha una ricca tradizione di produzione di birra che affonda le radici nei tempi antichi, con una particolare enfasi nella cultura vichinga. Questa nazione nordica era la patria dei Vichinghi, un popolo noto per la sua abitudine di bere birra, e la bevanda rivestiva un ruolo culturale significativo, soprattutto tra i guerrieri. La birra era considerata una bevanda sacra e un elemento nutrizionale essenziale nella vita quotidiana, particolarmente durante i lunghi viaggi marittimi dei Vichinghi. Grazie al processo di fermentazione, la birra veniva vista come una fonte di energia vitale e di purificazione, il che la rendeva ideale per i viaggiatori e i combattenti. I Vichinghi erano noti per portare con sé botti di birra durante le loro epiche esplorazioni, che li portarono persino alle Americhe. Si crede che questa birra avesse una gradazione alcolica elevata per conservarne la qualità durante i viaggi. La birra aveva un ruolo centrale anche in molte cerimonie, soprattutto durante i riti funebri. La “birra funeraria” era parte di un rituale chiamato “Sjaund,” che coinvolgeva una serie di bevute in onore del defunto, sette giorni dopo la sua morte. Per scopi cerimoniali, probabilmente esistevano due versioni di birra: una con bassa gradazione alcolica chiamata “mungat” e una versione più forte preparata per i combattenti e i viaggiatori, conosciuta come “Bjorr” o “Oi.” È interessante notare che i termini “beer” e “ale” utilizzati in inglese potrebbero avere radici nei termini norvegesi. Questa cultura birraia dei Vichinghi ha lasciato un segno indelebile sulla Norvegia e ha influenzato chi ha abitato la regione nel corso dei secoli successivi. Fino a due secoli fa, ogni fattoria norvegese aveva il suo birrificio casalingo chiamato “brygghus.” Qui, venivano prodotte piccole quantità di birra utilizzando ingredienti locali come malto d’orzo, frumento, avena o segale, acqua, linfa di betulla, luppolo, miele o zucchero, lievito e ramoscelli di ginepro. La fermentazione avveniva in vasche di legno chiamate “trekar,” che avevano un rubinetto nella parte inferiore per separare i componenti liquidi. Ogni famiglia aveva la propria ricetta segreta, che determinava il grado alcolico e l’aspetto della birra. In generale, le birre norvegesi erano caratterizzate da sapori affumicati, amari, fruttati e con sentori di ginepro. Tuttavia, questa tradizione casalinga ha iniziato a scomparire all’inizio del XX secolo a causa dell’industrializzazione del settore birrario norvegese. L’emergere di birrifici di diverse dimensioni, compresi quelli artigianali, ha portato a una rinascita della cultura birraia norvegese, nota come la “craft beer revolution.” Questa rinascita ha visto una notevole accelerazione dagli anni ’90 del secolo scorso, portando alla creazione di 188 birrifici artigianali in Norvegia, nonostante una popolazione di solo 5,4 milioni di abitanti. Questi birrifici artigianali norvegesi sono noti per la loro qualità e varietà. Molti di essi hanno ricevuto riconoscimenti internazionali, dimostrando la loro eccellenza. Uno dei birrifici più rinomati è l’”Aegir,” che prende il nome dal dio del mare e maestro birraio della mitologia norrena. Il panorama birraio norvegese offre una vasta gamma di stili, tra cui amber e brown ale, sour/wild ale, barley wine, stout, porter e IPA. I mastri birrai norvegesi ripropongono anche antiche bevande che utilizzano botaniche come i ramoscelli di ontano, l’angelica e le bacche di ginepro. Grazie alla combinazione di tradizioni birrarie secolari e alla moderna varietà e qualità dei prodotti, la Norvegia è diventata una delle realtà più affascinanti nell’ambito della produzione di birra artigianale a livello mondiale. Marchi di Birra Norvegese più famosi al mondo Tra le marche maggiormente distribuite nel mondo, ce ne sono due in particolare molto apprezzate a livello mondiale e sono la 7 Fjell e la Lervig. Se sei un’appassionato della tradizione brassicola del Nord Europa, scopri anche la guida sulle Birre Danesi. 7 Fjell 7 Fjell rappresenta un birrificio artigianale che fonde l’appassionata dedizione per la birra di alta qualità con l’ampia esperienza accumulata nel settore per molti decenni. Il loro mastro birraio è un punto di riferimento nell’ambito della birra artigianale in Scandinavia, avendo raggiunto il titolo di campione norvegese di homebrewing in più occasioni. L’obiettivo principale di 7 Fjell è la produzione di birra classica, ma attraverso un approccio innovativo, con l’ambizione di essere riconosciuti come tra i migliori produttori di birra a livello globale. Le tradizionali tecniche e gli ingredienti utilizzati in Inghilterra durante i secoli XVIII e XIX costituiscono una significativa fonte di ispirazione per il birrificio. Questo li spinge a esplorare la birra, attingendo dalla tradizione e dalle tecniche del passato, mentre cercano allo stesso tempo di aprire nuovi orizzonti. In tal modo, 7 Fjell sfida i confini delle ricette tradizionali, rifiutando l’approccio di produzione su larga scala, e promuovendo il gusto e la passione per la birra di alta qualità. Lervig Lervig Aktiebryggeri è un birrificio artigianale situato a Hillevåg, Stavanger, in Norvegia. La loro produzione si distingue per una vasta gamma di birre, spaziando dalle opzioni più rinfrescanti ispirate ai vini d’orzo e all’invecchiamento in botti di bourbon, fino alle birre più corpose e una selezione diversificata di IPA e birre acide. La missione principale di questo birrificio è quella di condividere le proprie creazioni in tutto il mondo, aspirando a diventare un punto di riferimento globale per la birra artigianale di eccellenza. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, Lervig Aktiebryggeri si impegna a essere un pioniere nello sviluppo di ricette e processi di produzione, compresi gli aspetti legati all’incarto e all’imballaggio. Ogni giorno, il loro team lavora instancabilmente per assicurare che gli appassionati di birra di qualità in tutto il mondo possano sperimentare emozioni uniche e indimenticabili attraverso le creazioni di Lervig. E tu ami la birra Norvegese?

Birre Danesi: Guida Completa

Le birre danesi, benché forse meno celebrate rispetto alle rinomate birre belghe o tedesche, vantano una storia appassionante e una rilevanza altrettanto significativa. Un’Antica Storia Brassicola: La tradizione birraia in Danimarca è sorprendentemente antica, risalente addirittura ai tempi dei Vichinghi. In quei tempi remoti, la birra danese veniva addirittura considerata più sicura da bere dell’acqua. Carlsberg e la Scoperta del Lievito: Una pietra miliare nella storia birraia danese è la scoperta della tecnica di lievitazione da parte della Carlsberg, che ha portato all’identificazione del lievito Saccharomyces Carlsbergensis. Questo lievito, oggi ampiamente utilizzato nelle birre a fermentazione bassa, è in gran parte responsabile della diffusione della lager maltata danese con un contenuto alcolico moderato e un carattere non troppo luppolato. La Leggenda di Carlsbergensis: Il Saccharomyces Carlsbergensis deve il suo nome all’omonima casa produttrice di birra, la Carlsberg. La leggenda narra che nel 1875, uno scienziato di nome Hansen, tornando dalla Germania, portò con sé un cilindro contenente una lager. Per mantenere la birra fresca, durante il viaggio, versava occasionalmente piccole quantità d’acqua nel cilindro. Questo viaggio fu fondamentale per avviare una ricerca più specializzata sulla birra una volta a Copenaghen. Varietà di Birre Danesi: In Danimarca, come in Belgio, si producono una vasta gamma di birre, ciascuna con le sue peculiarità uniche. Le principali case produttrici del paese includono la rinomata Carlsberg e la Ceres. Le birre tipiche danesi sono spesso lager leggere e chiare, ma in occasione delle festività pasquali è comune produrre stout, birre di frumento e birre aromatizzate alle erbe, ampliando così l’offerta di gusti e sapori per gli amanti della birra. La Crescita dell’Industria Birraia Danese Vi presentiamo Danske Ølentusiaster, un’associazione che svolge un ruolo fondamentale nella promozione e nella diffusione della birra di alta qualità prodotta in Danimarca. Fondata nel 1998, questa associazione ha contribuito in modo significativo a suscitare l’interesse tra gli amanti della birra danese, portando all’espansione di stili brassicoli diversificati e dando vita a quella che oggi possiamo definire una vera e propria Craft Revolution. Ciò che rende veramente affascinante l’evoluzione della birra in Danimarca è la proliferazione di realtà locali. Molte di queste continuano a seguire i metodi tradizionali di produzione e si dedicano a quantità limitate di birra. Spesso si tratta di imprese a conduzione familiare che sono in grado di offrire i loro prodotti attraverso punti vendita locali. Questa tendenza è chiaramente in crescita e sta guadagnando sempre più spazio nell’industria birraia danese. La capitale danese, Copenaghen, riveste un ruolo fondamentale nel movimento delle birre artigianali. La città ospita importanti birrifici innovativi, noti come “Beer Firm” e “Gipsy Breweries”. Questi birrifici producono birre uniche, spesso seguendo ricette originali. Tra questi, spicca la Mikkeller, che ha giocato un ruolo di primo piano nella rivoluzione craft birraia danese. Oggi, il panorama birraio danese offre una vasta gamma di birre, comprese le classiche, oltre a birre uniche che spesso si ispirano agli stili americani. Gli appassionati della birra danese sono noti per essere grandi sperimentatori, proponendo birre come le Ipa, le Double Ipa, le Sour/Wild Ale, le American Strong Ale, le Porter e le Stout, oltre alle Barley Wine. L’evoluzione dell’industria birraia danese è stata veramente incredibile. In Danimarca, è possibile trovare itinerari birraio-gastronomici, che permettono di esplorare la connessione tra birra e cibo in modo più approfondito. Inoltre, uno dei festival birrai più importanti e radicati nella tradizione del paese è il Copenhagen Beer Celebration, un appuntamento imperdibile per tutti gli amanti della birra. Quali sono le marche più note di birra Danese? Tra i marchi di birra prodotti in Danimarca, possiamo annoverare: Carlsberg Ceres Elephant Faxe Föroya Bjór Restorffs Bryggjarí Royal Unibrew Tuborg Vores Øl Birrifici Artigianali Danesi Se vogliamo andare nello specifico dei brand brassicoli artigianali in Danimarca, possiamo menzionare Mikkeller, To Ol e Aeblerov Birrificio Aeblerov Nel lontano 2011, un piccolo garage su Limfjordsvej, a Vanløse, è diventato il luogo in cui è iniziata l’avventura del Birrificio Aeblerov. Il proprietario attuale, Morten Sylvest-Noer, e il suo ex socio, Christopher Melin, erano lì a supervisionare i nuovi serbatoi di fermentazione da 30 litri in plastica, posizionati tra vecchie falciatrici arrugginite, un passeggino abbandonato e una pila di secchi di vernice secca. Iniziarono con il sogno di produrre vino, ma presto si resero conto che in un paese benedetto da mele di alta qualità, dedicarsi alla produzione di sidro aveva più senso. C’era solo un piccolo problema: la mancanza di mele. Così è iniziata la loro avventura nel raccogliere mele, dapprima nei cortili di parenti e amici, e poi tra i quartieri residenziali di Copenaghen, dove ogni autunno tonnellate di mele venivano abbandonate a marcire. Il primo raccolto ha prodotto solo 50 litri di sidro fermentato in modo spontaneo. Lentamente ma costantemente, hanno visto emergere un nuovo stile di sidro nordico, secco, elegante e simile al vino, perfettamente in sintonia con la crescente gastronomia nordica. Nel 2015, il Birrificio Aeblerov ha lanciato il suo primo sidro commerciale, prodotto a Grønttorvet a Copenaghen. Og oggi, producono annualmente ben 85.000 litri di succo fermentato. Sebbene abbiano iniziato con il sidro, oggi guardano molto oltre, fermentando non solo mele, ma anche pere, uva, frutti di bosco, prugne, mele cotogne e birre acide. La loro storia è un perfetto esempio di come la passione e la dedizione abbiano contribuito a creare un prodotto eccezionale. Birrificio Mikkeller Nel 2006, Mikkel Borg Bjergsø, un insegnante di matematica e fisica, ha iniziato a sperimentare con ingredienti come il luppolo, il malto e il lievito nella sua cucina a Copenaghen. Da allora, ha esportato le sue birre artigianali in ben 40 diversi paesi ed è riconosciuto a livello internazionale come uno dei birrai più innovativi del mondo. Il Birrificio Mikkeller si distingue per la sua ricerca e sperimentazione nei generi di birra esistenti, utilizzando solo le materie prime migliori per ottenere un prodotto raffinato e pregiato. Ciò che rende Mikkeller davvero unico è la sua passione per la creazione di birre speciali, spesso in collaborazione con birrai di tutto il mondo, sfidando costantemente i limiti delle tradizioni … Leggi tutto

CHIAMA ORA